Un uomo, ormai giunto al tempo delle riflessioni più profonde, raccoglie in questa silloge i versi nati lungo il cammino di un’intera esistenza. Non c’è un tema unificante, né un filo rosso a tenere insieme ogni componimento, eppure ogni poesia è una tessera di un mosaico umano vibrante, autentico, fragile. Il poeta, con la sapienza di chi ha molto vissuto e molto osservato, ci accompagna in un viaggio che non segue una rotta, ma sa restituire le svolte impreviste, le pause, gli smarrimenti, le brevi consolazioni che danno forma a una vita.
Qui si raccolgono ricordi, visioni, interrogativi senza risposta. L’ironia amara della vecchiaia si alterna alla tenerezza di certe immagini fugaci; l’inquietudine esistenziale convive con la gratitudine verso ciò che è stato. Le parole – talvolta limpide come un giorno d’infanzia, talvolta aspre come la polvere sulla soglia – disegnano paesaggi interiori dove il tempo non è mai lineare, ma ritorna a spirale, richiama e si dissolve. Pierluigi Gronchi non cerca verità assolute: semina dubbi, custodisce ombre, interroga le cose piccole e i silenzi grandi, nella convinzione che sia più onesto lasciare domande che offrire risposte.
A chi legge resta il dono raro di uno sguardo sincero, non indulgente, che accetta la vulnerabilità come parte integrante del vivere. E in fondo, tra i versi, c’è sempre una voce che attende: quella di chi scrive non per insegnare, ma per condividere – e forse, anche solo per un attimo, sentirsi meno solo.