Canti dall’oscuro è un coacervo sistematico di significanti dotati di vita propria, dai quali ogni lettore potrà trarre, a proprio gradimento, uno o molti significati, come potrà altresì non trovarne alcuno.
La silloge presenta una genuina originalità: non opera alcuna discriminazione, volendo dare voce a una passionalità pseudoromantica e mascolina senza dimenticare quel prezioso elemento femminino, elevato sovente alla sacralità che gli è propria; e, mutando egli stesso la voce e il genere narrante, compie un autentico sacrificio in onore della femminilità, omaggiandola con un lirismo unico.
Tutto questo senza dimenticare la neutralità della tenebra pura, quel buio privo di inizio e di fine, con liriche solo in apparenza meno elaborate che alle volte quasi spezzano una ritmicità più gradevole, riportando alla luce la vera essenza di cui la silloge è intrisa: la tenebra, declinata nella disperazione anziché in un esistenzialismo che potrebbe offrire squarci di speranza, di luce, di rinascita, evidentemente non gradite al Poeta.
La calma presente nelle liriche iniziali lascia presagire un male ignoto, il quale trova la sua espressione in un climax volutamente instabile, come instabile è la percezione della vita. Certo è altresì il nesso di questa percezione: l incertezza, la peggiore tra le emozioni sperimentabili dall’essere umano, dalla quale tuttavia trapela un presagio funesto, senza nome, umano e al tempo medesimo non del tutto di questo mondo. Non è forse questo lo scopo dell’azione diretta del maligno? È davvero così sensato, insinua il Poeta, relegare a infestazioni, ossessioni, vessazioni e possessioni l’intera gamma dell’esperire umano, senza dar voce, nel modo più imparziale possibile, a questo abisso – o abissi – che da tempo immemore reclama una sua presentazione?
Sia al lettore il compito ambizioso di decifrare l’anima e la natura dell’oscuro.